Il fertile passo di un’altra consorte
incede nel mio appassito giardino —
vieni a rinascere, dice, svelto,
vieni a toccare il buio di morte stelle.
Dove prima stava, sta un vuoto giaciglio
e il tempo è l’altro, per lei, il mondo immondo,
e la forza la resa, il mestiere il diniego
e la casa l’ombra di uno steccato bianco
come bianca l’illibata sposa di un vedovo nuovo è —
evaporata, dice, col naso schiacciato
l’hanno sorpresa a leccare il cielo.
Non conosco la chimica, dice
ma lei e io spartiamo la stessa materia
e quando sarai via a chi daremo
da mangiare i nostri seni? —
la sera apparecchiata ai commensali
che non sanno niente della sua dolcezza,
sacrificata in luogo di un pasto nuziale
di siderali spazi matrimoniali
della bassa pressione in una camera d’albergo —
la nudità dell’occhio non coglie mai
l’esatto centro di un anello.
novembre 2019
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