tramontata

Tramontata più di ieri, quando appena un ciglio
da soubrette sull’altro scema e t’inguaina
un mascara di stenti sul viso patibolare

sei — s’issa imbandierata alle gole
della città la musica tutta, vocali le corde
s’innervano all’Infinito mai nereggiato su carta.

Mi snidi nel fatuo cabaret degli anni,
ché già allo slatto mi uccise due volte,
per concezione e nascita, godendo.

Sei quella che sa l’età dello stupro,
la testa all’altrove rivolta, al Nord-Ovest
esiliato da aghi di pini e bussole.

Cessa la musica, e più non è ritorno.
Un letto di ferro. La tua cecità. Tua madre
non leverà il capo prima delle otto.

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