L’umanità nella tua fica celeste – dodici mesi nella malattia
ha impiccato la notte sfiancata alla serranda,
stamattina presto.
La luce ha risuscitato palmo a palmo il tuo fisico in pallore primitivo.
Vilipendio d’ombra, il futuro. Lingua muta che scucirà canti di lutto.
Che cos’è stato averti lì…
Oggi batto bandiera nera, mi deporto nei vostri appartamenti
tanfati di lettiere, dove schierati i pizzi odiano l’appartenenza
e spiaggiati sopra le borse sanno gli occhi che la vita è morte.
Dentro quei culi stranieri, io sono l’enclave.
Se mal ripongo il tempo nell’attesa di quelle cosce
su cui avrei scritto un nuovo testamento,
l’azione è il mezzo più bieco per quest’epifania d’inutilità.
È così che i gatti restano a guardare, avvezzi alla ninfomania.
novembre 2017
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