fumerò, vestito di nero
vincenzo montisano
Fumerò, vestito di nero, come certi violinisti,
davanti alle separazioni ferroviarie,
la conseguenza di un assolo d’addio.
Il tuo tè sfilacciato sa di vecchio Holbourne
giallo nel gas del treno che scioglie verso
Milano una masochistica prognosi memoriale.
Parola non detta sei-ventuno coppie d’ali –
età selvaggia di inaccessibile logica –
mi hai chiesto: «tagliale, alla radice della
schiena», dei capelli di rosa dipinti,
del design da ragazza spezzata,
della giacca turchese maschile che ha
sfilato un weekend di dodici anni
alla tua tanto invisa giovinezza.
La soggettiva di una bocca che non
ritorna a masticare, non è la strada
per riallacciare i ponti sospesi, così
la vescica che si svuota non vince
il jackpot della slot attigua all’ano.
Volevi gattonare nei parchi annodata
al mio collare di spine, mia sposa,
spiluccando gli occhi-nespole dei voyeur.
Invece, al raglio tumultuoso dei vagoni,
per tirare la tua cicca fino al filtro,
t’ho mancata.
Fumare non è l’unica libertà
che m’hai saputo insegnare.